Il grande tetto où picoraient des focs
è un’immagine idillica del mare.
Oggi la linea dell’orizzonte è scura
e la proda ribolle come una pentola.
Quando di qui passarono le grandi locomotive
Bellerofonte, Orione i loro nomi,
tutte le forme erano liquescenti
per sovrappiù di giovinezza e il vento
più violento era ancora una carezza.
Un ragazzo col ciuffo si chiedeva
se l’uomo fosse un caso o un’intenzione,
se un lapsus o un trionfo..., ma di chi?
Se il caso si presenta in un possibile
non è intenzione se non in un cervello.
E quale testa universale può
fare a meno di noi? C’era un dilemma
da decidere (non per gli innocenti).
Dicevano i Garanti che il vecchio logos
fosse tutt’uno coi muscoli dei fuochisti,
con le grandi zaffate del carbone,
con l’urlo dei motori, col tic tac
quasi dattilografico dell’Oltranza.
E il ragazzo col ciuffo non sapeva
se buttarsi nel mare a grandi bracciate
come se fose vero che non ci si bagna
due volte nella stessa acqua.
Il ragazzo col ciuffo non era poi
un infante se accanto a lui sorgevano
le Chimere, le larve di un premondo,
le voci dei veggenti e degli insani,
i volti dei sapienti, quelli ch’ebbero un nome
e che l’hanno perduto, i Santi e il princeps
dei folli, quello che ha baciato il muso
di un cavallo da stanga e fu da allora l’ospite
di un luminoso buio.
E passò molto tempo.
Tutto era poi mutato. Il mare stesso
s’era fatto peggiore. No vedo ora
crudeli assalti al molo, non s’infiocca
più di vele, non è il tetto di nulla,
neppure di se stesso.